Come sopravvivere possedendo un club in provincia

Come sopravvivere possedendo un club in provincia

 

Molte volte alcuni titolari di palestre situate in cittadine o in piccoli paesi, quando espongo loro la possibilità di migliorare la situazione cambiando qualche elemento del loro modello di business, mi hanno risposto allargando le braccia “Ma qui non siamo a Milano, qui siamo in provincia. Qui è diverso. Le persone sono diverse”, e negano che si possa cambiare qualcosa, che si possa migliorare.

Una frase simile mi fa sempre molto sorridere. Se permettete la metafora un po’ lugubre, è come se l’abitante di un luogo, in cui una determinata malattia è altamente probabile, rifiutasse cure preventive perché “tanto sono inutili”!

La domanda che mi viene sempre da rivolgere, davanti a questa sconfortata affermazione, è: “E quindi?”. Nel senso: preferisci continuare così, rassegnandoti a una conservazione che tu presumi obbligata, oppure si può cercare una soluzione taylor-made che possa farti stare meglio?

La risposta, da consulente e da uomo di buon senso, è: si può!

La formula è facile e bella anche da pronunciare: D.O.C.! Un acronimo che riporta la mente a una certificazione di qualità, alla sicurezza del gusto buono, a una positività e genuinità da offrire.

D come Differenziarsi – Quanti club ci sono nei paraggi? E quanti nelle grandi città poco distanti? Decine, centinaia? Bene, l’unico modo per essere vincenti è rispondere a questa domanda: “Perché i clienti dovrebbero venire da me e non da altri?”. Per renderlo possibile, occorrono tre cose:

a)      Uno studio approfondito dei concorrenti; non solo il listino prezzi o la promozione in corso, e non una volta all’anno con la presunzione di essere più bravi, ma un’analisi accurata svolta con umiltà, per mettere in luce i punti di forza dei concorrenti e le differenze esistenti.

b)      Un’analisi del territorio e delle persone che ci vivono. Chi sono? Quanti anni hanno? Cosa fanno? Numeri, non pregiudizi radicati: a volte si hanno sicurezze che non corrispondono alla realtà

c)       Farsi venire un’idea utile a renderci interessanti, appetibili, in una parola diversi. Non solo tecnicamente, ma anche esteriormente. Qualche esempio? Garantire il rimborso di una parte dell’abbonamento se gli obiettivi non vengono raggiunti a fronte di un minimo di ingressi al club (scommettiamo che questo aumenta le frequenze?), come fa Mark Murray, il titolare (di successo) di B-Fit, un club di Adrian, un paesino del Massachusetts di 24.000 abitanti. Oppure scegliere soluzioni architettoniche, esterne e interne, che rendano la palestra diversa dal solito club, magari con una reception di forma differente, con aree dove si possa suonare musica dal vivo, con una “presenza” importante nei valori della comunità locale, come fa Tate Metcalf, titolare di Sisters Athletic Club a Sisters, minuscolo centro da 2.000 abitanti in Oregon, che ha costruito una grande palestra prendendo come modello i lodge delle stazioni sciistiche della zona. Oppure addirittura incorporare la diversità nel nome stesso della palestra e di ogni attività che si svolge in essa, come ha fatto Jason Reinhardt, titolare di un club a Monroe, 48.000 abitanti nel Michigan, che avendo come concorrenti catene spietate (Anytime Fitness e Curves, per esempio) ha deciso di chiamarsi Go MAD Fitness, dove MAD significa Make A Difference, cioè “Fai la differenza!”.

O come Ottimizzare – Significa certamente un controllo maniacale dei costi, ma soprattutto far sì che il proprio personale si senta coinvolto nel progetto e i propri clienti si sentano a casa. Murray di B-Fit, quando i trainer di sala non stanno seguendo nessuno, li coinvolge in attività speciali, che possono riguardare per esempio le proposte per un miglioramento della qualità del servizio, le modalità di raggiungimento degli obiettivi, il lavoro commerciale sui clienti, le trattative in corso con class trainer per inserire nuovi corsi, l’elaborazione di piani di formazione su argomenti specifici, con il risultato di non far sentire i trainer un corpo estraneo e di non farli vedere dai clienti con le mani in mano; Metcalf addirittura chiede ai suoi trainer di ricordare a memoria i nomi di tutti i 1.600 soci! In generale poi, tenere costantemente monitorata la pulizia del club è un ottimo gesto di fidelizzazione per i clienti, così come informarli su ogni idea, progetto, cambiamento.

C come Condividere – In una società aperta come la nostra, la condivisione è fondamentale per ottenere un sentiment positivo, sia da parte dei clienti, sia soprattutto da parte dello staff. Per questi ultimi, non basta una pizzata a Natale o un team building una volta ogni 3 anni: lo staff è il motore del successo, e va tenuto costantemente sotto pressione ma anche al massimo livello di entusiasmo. Le idee in merito negli ultimi anni si sono succedute con costanza, quello che mi sento di suggerire è l’attenzione a costanza, coerenza e serietà nel metterle in pratica. Ma condividere significa anche stare sul web, l’oceano dove le informazioni sono un flusso inarrestabile. Due consigli in tal senso: per quel che riguarda i social network, il nostro settore, anche nelle sue manifestazioni più elevate (catene, grandi centri, etc) è molto arretrato; pertanto, anche solo un uso quotidiano, brillante, innovativo di una pagina Facebook può creare quel coinvolgimento che è l’anticamera di un successo; inoltre, farsi trovare su Google è un aspetto spesso tralasciato anche da centri importanti; in questo senso, bisogna agire come se si fosse un albergo o un’attrazione turistica, e cioè creare un sito web moderno, monitorarlo, agire in ottica SEO (cioè ottimizzando la ricerca dei motori come Google), lavorare sulle Google Maps per essere presenti in modo efficace, usare geo-social network come Foursquare per socializzare le frequenze al club.

Davide Verazzani

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