La nuova legge del fitness: conviene davvero?

La nuova legge del fitness: conviene davvero?

La nuova proposta di legge del fitness presentata dall’onorevole Daniela Sbrollini sotto la lente di ingrandimento del nostro esperto Davide Verazzani.

Che il settore del fitness abbia bisogno di una legge che ne attualizzi la definizione degli attori, è cosa nota. Basti pensare che la legge sul professionismo sportivo (l. 91/81) ha 35 anni, e la legge che ha introdotto importanti novità in campo fiscale (l. 289/02, art. 90) ne ha 14.

Proprio quest’ultima normativa è da sempre nel mirino di enti sportivi e istituzioni.

Da un lato, infatti, ha dato la possibilità di superare le difficoltà gestionali della associazione sportiva, istituendo la “società sportiva dilettantistica a responsabilità limitata” (SSDRL), una sorta di società di capitali senza scopo di lucro, che evita i paletti normativi del mondo associazionistico (uno fra tutti, la responsabilità personale e totale del presidente della società stessa). Dall’altro, con l’usuale indeterminatezza italica, ha creato un contorno senza riempire il piatto, garantendo anni di insicurezze sui giusti regimi da usare e sulle corrette modalità per non essere al di fuori della normativa, e quindi creando infiniti contenziosi con Agenzia delle Entrate e INPS.




E però a essere del tutto onesti, l’articolo 90 della l. 289 ha dato la luce anche a un “mostro” che ha ammaliato quasi tutti coloro che volessero “investire” (le virgolette non sono casuali…) nel settore, facendo definitivamente credere che il fitness potesse esistere solo se senza scopo di lucro. Il risultato è stato quello di gettare il settore, tutto intero o quasi, in un magmatico Terzo Settore in cui si mischiano reali  benefattori e furbetti elusori, oltre ad attuare una vera e propria distorsione della concorrenza.

La riforma del Terzo Settore, approvata nel corso del 2016 dal Parlamento (e di cui a gennaio 2017 si attendono i regolamenti attuativi), ha fatto molto bene a non prendere direttamente in esame il mondo del fitness. L’incertezza delle normative che lo riguardano, e insieme la sua particolarità, impongono una legislazione separata e specifica.

Dopo alcune incertezze iniziali, l’ANIF, unica associazione di categoria dei centri fitness presente in Italia che da anni opera, spesso inascoltata, per dare voce all’intero settore, è riuscita alla fine del 2015 ad agganciare il “cavallo giusto” per portare sui tavoli parlamentari una legge quadro di riordino: stiamo parlando di Nerio Alessandri, patron di Technogym, che ha usato tutte le armi di moral suasion a sua disposizione nei confronti di Matteo Renzi, allora incontrastato premier e leader del PD, per rendere reale il sogno di normalizzare l’intero settore.

legge fitness sbrollini

L’operazione è in parte riuscita. La volontà politica e il sostegno tecnico dei protagonisti del nostro settore hanno creato un testo che, a parte gli scivoloni retorici, ha un duplice pregio: quello di mettere in ordine, in un unico foglio, ciò che è sparpagliato in decine di atti approvati negli ultimi 40 anni, e soprattutto quello di creare un nuovo organismo, quello della “società sportiva dilettantistica di capitali ordinaria” (SSDCO).

Fermo restando la possibilità di scegliere ogni altra forma giuridica già esistente per gestire un centro fitness, la legge prevede questa nuova forma, che presenta 3 fondamentali novità rispetto all’attuale SSDRL:

  • il superamento del “non scopo di lucro”, attraverso la possibilità di dividere il 50% degli utili fra i soci, che verranno quindi tassati
  • una certa normalizzazione dei rapporti di lavoro, con la possibilità di versare all’INPS il 10% dello stipendio lordo per cifre superiori a una certa soglia
  • l’imposizione di un IVA minima ai club, che quindi potranno dedurre una parte dell’IVA sugli acquisti, che finora rappresenta un puro costo.

E’ chiaro, quindi: lo Stato ci guadagna, quindi si dà una mossa. Ma i centri fitness, ci guadagnano? Apparentemente no: un amico imprenditore del settore mi ha recentemente confidato di aver fatto due conti, e di aver scoperto che l’applicazione della legge così com’è gli costerebbe 40.000 € all’anno. Ma allora perché gli operatori sembrano tutti così felici, tanto da affollare i convegni promossi per sensibilizzare sulla proposta di legge e non alzare nessuna voce contraria?

Molti vedono solo i lati chiaramente positivi, quali la divisione di parte degli utili e la fine dei timori di contenzioso fiscale.




Alcuni (ma temiamo siano pochi) sono felici di poter contribuire in parte alla pensione dei loro collaboratori.

Secondo me (e non sono affatto certo che ne siano tutti completamente consapevoli) la nota maggiormente positiva della proposta è il fatto che, finalmente, si apre il settore, anche se parzialmente, agli investitori e al mercato, consentendo l’immissione di capitali che possano ottenere una remunerazione e rimettendo in carreggiata la concorrenzialità del sistema.

Ed eccoci all’oggi, dunque.

La proposta di legge è stata presentata il 28 giugno scorso da Daniela Sbrollini, parlamentare vicentina responsabile Sport e Welfare per il PD, e assegnata dalla Camera non alla XII Commissione, di cui la deputata è vicepresidente e che si occupa specificamente di Welfare e Affari Sociali, ma stranamente alla VII Commissione della Camera, cioè quella che si occupa di Cultura, Scienza e Istruzione. Misteri della alchimie politiche (anche se di questa commissione fa parte una grande sportiva come Valentina Vezzali, che speriamo possa combattere per l’approvazione del testo).

Attualmente la proposta, che furbescamente ingloba un’altra proposta della Sbrollini, presentata nell’ottobre 2015 con la firma trasversale di 150 parlamentari e riguardante il riconoscimento delle professioni relative alle attività motorie, è ferma lì, in attesa di una calendarizzazione che la deputata mi ha recentemente confermato come possibile nel mese di febbraio 2017.

Tutto dipende, com’è ovvio, dal fatto che il Parlamento continui il suo percorso o meno. Oltre che dalla presenza di un Governo che abbia intenzione di farsi carico di una riforma a mio parere fondamentale.

E di nuovo si torna alla volontà politica, che ha consentito la creazione della proposta e ora, visto il quadro di conflittualità accentuata, potrebbe bloccarla sul nascere. Ecco perché si susseguono i convegni in giro per l’Italia per la sua illustrazione, e le richieste di firme per mostrare ai parlamentari l’esistenza di un’importante massa critica di operatori che desiderano un’evoluzione rispetto al magma esistente.

Vista la lentezza procedurale della vita politica italiana, ho molti timori che la legge possa vedere la luce in questa legislatura. Ma un sassolino, di grande rilevanza, è stato gettato nello stagno dell’immobilismo, e credo non potrà essere ignorato in futuro.

Davide Verazzani




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