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La formazione nel fitness

“Un altro corso di formazione! Ma non ho già studiato abbastanza?”

“Non ho tempo di stare in aula: ho mille cose da sbrigare al lavoro!”

“La formazione? Soldi buttati via! Meglio quello che imparo tutti i giorni”

Ecco alcune delle frasi più frequenti che mi sento rivolgere, quando propongo corsi di formazione alle aziende e anche ai fitness club. Considerando l’improvvisazione di molti sedicenti “formatori”, non sono nemmeno del tutto scorrette. Ma tradiscono un equivoco di fondo: e cioè che la formazione sia uno strumento immediatamente utilizzabile secondo un suo libretto di istruzioni, come un cellulare o un computer che si accendono e con pochi (e spesso intuitivi) clic ci dirigono al risultato che volevamo. Purtroppo (o per fortuna, dipende dai punti di vista…) non è così.

Uno schema classico della formazione divide le aree dell’apprendimento in tre tipologie:

– sapere

– saper fare

– saper essere

La prima è sostanzialmente una trasmissione di informazioni, e quindi assai simile alla modalità di apprendimento scolastico. Stimola la nostra area cognitiva, è spesso più simile a un mero nozionismo, si può raggiungere semplicemente leggendo un libro o un sito internet aggiornati. Assume complessità quando l’obiettivo del percorso formativo diventa il conoscere non solo dei dati, ma una o più loro interpretazioni, e diventa quasi impossibile quando non c’è la capacità, da parte del discente, di “apprendere ad apprendere” (la famosa mancanza di un metodo di studio, che tante volte ci hanno rimproverato a scuola!). Nel mondo del fitness, la prima area di apprendimento deriva dal percorso di studi svolto (scienze motorie per un fitness manager, magari economia per il club manager) e dalle letture di approfondimento trasversale (siano essi libri tecnici o di narrativa); quando l’obiettivo è complesso, un aggiornamento ai saperi necessari può avvenire anche con una giornata di formazione, di solito in aula.

La seconda ha aspetti eminentemente operativi. Si tratta di regole di comportamento, di modalità di esecuzione, di capacità tecniche. E’ necessario saper organizzare le informazioni possedute, non tanto e non solo per capire la logica di funzionamento di un processo ma, soprattutto, al fine di realizzare personalmente e fisicamente determinati movimenti o azioni con una data sincronia. Questo tipo di formazione mira a ottenere un’abilità nell’esecuzione di determinati atti per il raggiungimento di specifici obiettivi. L’apprendimento, in questo caso, è molto specialistico, e si ottiene difficilmente con la lettura di un testo: molto meglio una giornata di aula molto operativa, in cui si aggiornano le nozioni esistenti, se ne apprendono di nuove e si possono scambiare opinioni assai pratiche con colleghi di altre zone del Paese. Nel nostro settore, è il caso delle miriadi di corsi di aggiornamento, proposti dalle tante federazioni o associazioni esistenti sul territorio e da società di formazione specializzata, che soprattutto durante i week end  fanno girare per l’Italia migliaia di trainers e di manager.


La terza area rappresenta lo sbocco e la sublimazione delle prime due. E’ il saper essere, cioè quell’area dell’apprendimento che agisce direttamente sulla consapevolezza del proprio ruolo, sul significato delle proprie azioni all’interno delle organizzazioni, sul nostro saper stare con gli altri, avendo la capacità di affrontare e gestire le nostre emozioni e di saper costruire relazioni efficaci. Spesso si lavora in organizzazioni, ma anche quando si opera da soli nel nostro settore il rapporto con l’altro (che a questo punto è vieppiù importante, visto che si tratta del cliente!) è basilare perché possano essere riconosciute le abilità cognitive e operative. In altre parole, e estremizzando, il saper essere è condizione necessaria e sufficiente perché siano evidenziate il sapere e il saper fare. Viceversa, una persona di elevato spessore cognitivo e tecnico ma di bassissimo spessore esistenziale spesso non riesce neppure a far brillare le proprie abilità! Questo perché l’uomo è un animale sociale, che misura i rapporti con gli altri attraverso paradigmi istintuali, e perché le organizzazioni (fatte di processi creati dall’uomo) sono un flusso quotidiano che prevede, in misura e maniera diverse, la partecipazione di tutte le soggettività. E un eccesso di “saper fare” può essere controproducente, se manca un’iniezione di “saper essere”.

Iniezione che può avvenire in molti modi, ma che in questo caso è attraverso corsi di formazione ad hoc, spesso con metodologie trasversali, esperienziali e outdoor, che trova la sua realtà più completa e il suo sbocco più efficace. Il risultato è la capacità di dare senso al lavoro che si sta svolgendo, per evitare demotivazione e alienazione. Certo, per imparare a gestire il proprio tempo, ad esempio, si può anche leggere un libro anziché “perdere una giornata in aula”; ma per molti pianificare le cose importanti e dare loro una priorità non è affatto un aspetto banale, e dà il senso ultimo al lavoro giornaliero. La stessa cosa dicasi per i “famigerati” corsi di team building, che solleticano soprattutto l’aspetto esistenziale del lavorare in squadra, facendo venire a galla (quando sono ben svolti) una serie di competenze trasversali altrimenti sopite, che possono migliorare la propria performance. Bateson, il celebre antropologo che negli anni ’60 e ’70 rivoluzionò le teorie psicologiche comportamentistiche, diceva che ogni apprendimento è cambiamento, e che, fra i vari tipi di esso, ve ne è uno che ha il sapore della ricostruzione della propria identità, delle proprie abitudini e dei propri modi di pensare. E’ di questo che stiamo parlando, quando apprendiamo a “saper essere”, ed è per questo motivo che siamo convinti si debba porre grande attenzione ai processi formativi.

Davide Verazzani

Consulente e formatore di decennale esperienza nel settore fitness, creatore del network www.kaleido-scopio.it


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